I nostri sono tempi particolari in cui vediamo intorno a noi le contraddizioni più forti ed assurde, soprattutto per quanto riguarda la vita dell’uomo. Il nostro è diventato il tempo delle contraddizioni: da un lato ci troviamo di fronte al voler cercare un figlio a tutti i costi, dall’altro il non voler un figlio e quindi il ricorso all’aborto. Nello stesso tempo ormai l’uomo ha messo le mani pure sulla stessa vita umana, pensando di poter decidere quando far nascere o morire il proprio simile.
Un mondo del genere sta portando innanzitutto alla distruzione di ogni valore legato alla persona umana e poi anche al considerare quest’ultima non nel modo più giusto bensì in quello più “comodo”.
Il presente lavoro si divide in tre parti. Nella prima si parla del significato del termine “bioetica” ma anche dei diversi significati che a questa disciplina si vogliono dare a seconda sia del tipo di approccio che si ha con essa e sia delle proprie basi filosofiche e religiose di partenza. In base al tipo di visione e considerazione che si ha della persona umana nascono e scaturiscono diverse interpretazioni della bioetica stessa.
La seconda parte è dedicata alla dignità della persona ed in essa, come per la prima, si affrontano le diverse concezioni di dignità, a seconda di come essa viene vissuta e considerata nei confronti sempre dell’uomo stesso. La nostra società purtroppo formula concetti di “dignità” differenti a seconda delle situazioni mentre la vera dignità umana dovrebbe essere sempre la stessa, per tutti e in ogni situazione.
La terza parte, che fa anche da conclusione, si coniugano i concetti di “bioetica” con quelli di “dignità umana” tenendo presente che per una vera tutela della persona umana dovrebbero sempre “camminare insieme”.
Tutto questo breve lavoro è impostato tenendo conto di quanto dice la società contemporanea su tali argomenti, ma soprattutto sul rispetto della vita umana fin dal momento del concepimento alla sua morte naturale. Nessun uomo può decidere il nostro inizio e la nostra fine per quanto riguarda il cammino su questa terra. Tali decisioni spettano solo al Creatore e non alla creatura, per cui ogni volta che la creatura vuol prendere il posto del suo Creatore si generano degli squilibri nella vita umana che possono portare solo alla sua disgregazione sia a livello psicologico che vitale.
Se prendiamo qualsiasi vocabolario della lingua italiana possiamo vedere il significato che viene dato al termine “bioetica”, un significato che dovrebbe essere univoco per tutti. Il termine è formato da due parole greche: bios, che significa vita, ed ethos che significa morale. Il primo a coniarlo è stato Van Rensselaer Potter che, nel 1970, lo ha utilizzato in due articoli e successivamente in un’opera del 1971. Il suo intento era quello di voler coniugare insieme le scienze della vita e l’etica della vita stessa (Cfr. G. FORNERO, Bioetica cattolica e bioetica laica, ed. Bruno Mondadori, Milano 2009, pp. 1-2). Lo scopo che Potter avrebbe voluto raggiungere era di fare un ponte fra i due ambiti in modo si potesse garantire sia la sopravvivenza che il benessere dell’uomo. Tale necessità emergeva dal fatto che sia la rivoluzione tecnica che quella scientifica erano diventate come una “malattia” per la stessa natura.
A Potter va quindi il merito di aver iniziato l’epoca della bioetica anche se poi non tutti l’hanno intesa come lui. Infatti, mentre Potter col termine “bioetica” intendeva una scienza nuova ma nell’ambito della biologia, per altri studiosi essa è una sezione più specifica dell’ambito dell’etica applicata che si occupa di questioni che scaturiscono dalla ricerca biomedica e dalla cura della salute. In ambito europeo la bioetica è stata accolta meglio in quei paesi in cui c’era una maggiore diffusione della filosofia analitica. A seconda dei contesti in cui tale termine è stato introdotto ci sono stati dei risvolti diversi. Per esempio in Francia ed in Germania ha trovato notevoli resistenze, mentre in Italia è stato “accolto” bene sia nell’ambito cattolico che in quello laico (Cfr. Ibidem, p. 3).
Il quadro che attualmente abbiamo davanti per quanto riguarda la bioetica, o potremmo dire, le diverse bioetiche, è molto vario, anzi potremmo affermare che ci sarebbero tante bioetiche quante sono le forme di pensiero. Ciò sarebbe forse troppo riduttivo ma, nello stesso tempo, anche troppo vasto e correrebbe il rischio di voler dire tutto o niente. Nell’ambito della letteratura internazionale, per esempio, vengono classificate le varie posizioni bioetiche in base alle teorie etiche generali alle quali i singoli autori si riferiscono. Osservando il quadro generale che ne scaturisce si può affermare che alla base ci sono due matrici dalle quali poi derivano le altre “bioetiche”: una di carattere religioso e l’altra di carattere laico. Dalla prima nasce il modello cattolico della bioetica la quale mette al centro del suo pensiero la sacralità della vita umana. Dalla seconda nasce il modello laico che si concentra maggiormente sulla qualità della vita dell’uomo (Cfr. Ibidem, pp. 14-16). Entrambi questi modelli non possono essere considerati gli unici nell’ambito della bioetica ma sono quelli intorno ai quali maggiormente si concentrano i vari dibattiti e le diverse teorie. In effetti, volendo provare a focalizzare quali siano i “perni” intorno ai quali ruotano le varie dissertazioni bioetiche, possiamo dire che sono sempre gli stessi e riguardano principalmente la vita dell’uomo nel suo inizio e nella sua fine, nella sua libertà di scelta e su fini a quando ha questa libertà, soprattutto quando l’uomo si trova davanti al bivio di dover decidere quando lo zigote possa essere considerato vita umana, con le dovute conseguenze del momento in cui poter “riconoscere” ad esso la stessa dignità della persona già nata, oppure quando si trova davanti ad un altro bivio quello di dover scegliere fra la sofferenza nella malattia e il porre fine ad essa considerando più dignitosa una vita vissuta alle dipendenze di una macchina (come per i malati terminali, per esempio). Sono questi due momenti della vita dell’uomo, l’inizio e la fine, che paradossalmente determinano il cammino della bioetica che, in ogni caso, a prescindere se sia laica o cattolica, resta sempre e comunque legata alla vita dell’uomo e alla sua dignità. In effetti non si dovrebbe fare una distinzione così netta fra i diversi tipi di bioetica, o meglio, non ci dovrebbero essere differenti “bioetiche”, in quanto la bioetica, dato che riguarda la vita dell’uomo, e di ogni uomo, dovrebbe essere sempre la stessa anche se con sfumature diverse. Il guardare alla sacralità della vita ed alla sua qualità dovrebbe avere come conseguenza la ricerca di un traguardo comune, se possibile, ed il coniugare entrambe le cose. L’esperienza pratica in questo ambito denota però che non è sempre così e sono i cosiddetti “casi limite” a far concentrare l’attenzione o sulla sacralità o sulla qualità. Non sempre si riesce, a questo punto, a “salvarle” entrambe. Ci troviamo davanti a due etiche della vita umana. Alcuni studiosi parlano di incompatibilità fra le due parti, per altri invece sono complementari.
“Nelle epoche di transizione come la nostra, le tradizioni permeano ancora potentemente l’immaginario collettivo ma non hanno più presa sulla vita reale, mentre nuovi stili di vita scandiscono l’esistenza (…). L’etica della sacralità della vita ha perso efficacia, ma l’etica della qualità della vita stenta ad affermarsi come legittima” (M. MORI, Manuale di bioetica. Verso una civiltà biomedica secolarizzata, editrice Le Lettere, Firenze 2010, pp. 67-68). Se così fosse allora non ci sarebbero più dibattiti nell’ambito della bioetica e proprio il fatto che continuano tali discussioni dimostra che l’etica della sacralità e quella della qualità della vita dell’uomo sussistono entrambe e la prima non ha perso la sua efficacia visto che continua ad avere il suo peso e la sua importanza.
La nascita della bioetica potrebbe essere “collocata” nel conflitto che è emerso, e che continua ad andare avanti, fra la qualità della vita e la sacralità della stessa, fra ciò che della vita dell’uomo può essere “toccato” e ciò che invece è “intoccabile”. Il limite di un ambito dall’altro a volte è impercettibile, come spesso i due ambiti si compenetrano l’uno nell’altro per cui diventa quasi impossibile riuscire a dividerli nettamente l’uno dall’altro. Forse si potrebbe affermare che questa nuova scienza nasca per poter cercare di conciliare i due ambiti. Ma se guardiamo alla realtà che ci circonda ci rendiamo conto come, come già detto precedentemente, la stessa bioetica si “divide” in altre “bioetiche” a seconda del pensiero di partenza e di arrivo di ciascuno.
Se si osserva l’itinerario storico della bioetica ci si rende conto che a tutt’oggi la sua stessa definizione non è per nulla data per scontata. Infatti c’è chi la considera come “un movimento di idee storicamente o storicisticamente mutanti; chi la considera piuttosto una metodologia di confronto interdisciplinare tra scienze biomediche e scienze umane; chi r5iconduce la riflessione bioetica ad un’articolazione della filosofia morale e chi ritiene ormai che questa riflessione possa essere definita come una disciplina autonoma” (E. SGRECCIA, Manuale di bioetica. Fondamenti ed etica biomedica, Vol I, editrice Vita e Pensiero, Milano 20003, p. 21).
La bioetica è un terreno particolare, luogo di fratture e di ricomposizioni insieme, anche se fragili. Essa, in effetti, richiama valori che l’uomo sente inderogabili, in quanto riguardano quel senso e significato più profondo che ha la stessa vita umana (Cfr. S. SEMPLICI, Bioetica. Le domande, i conflitti, le leggi, editrice Morcelliana, Brescia 2007, p. 23).
C’è anche chi parla di bioetica facendo una suddivisione un po’ particolare, addirittura si parla di “bioetica di frontiera” e di “bioetica quotidiana”. Con la prima definizione viene intesa quella parte di questa disciplina i cui temi affrontati sono quelli che maggiormente suscitano sentimenti quale lo sgomento o la meraviglia, o anche un maggior clamore nell’ambito dell’opinione pubblica. Nella “bioetica di frontiera” rientrerebbero così temi quali la fecondazione assistita, la clonazione, l’usare o meno gli embrioni umani ai fini della ricerca scientifica. Secondo alcuni studiosi soltanto in questo ambito si riscontra il forte dissenso a livello sociale. Se invece si parla di “bioetica quotidiana” allora il discorso cambia in quanto si affrontano quei problemi ritenuti quotidiani e che appartengono a cosiddette persone comuni (Cfr. M. MORI, o. c., p. 298). In effetti quanto detto da Mori si potrebbe anche non condividere vista la suddivisione così netta in ambito bioetico, una suddivisione che sembra si basi su una diversa importanza dei problemi in bioetica, o meglio, dei problemi della vita stessa. Quando si parla di “bioetica di frontiera” si è in presenza in effetti di casi molto particolari che mettono a dura prova tutte le convinzioni personali di coloro che ne sono coinvolti, come i medici, il paziente e i suoi stessi familiari. Perché tutto questo? Il motivo va ricercato nel fatto che una persona si trova davanti alla difficoltà di dover prendere una decisione, dalla quale scaturirà un’azione, basandosi su di un principio. La difficoltà sta non nel stabilire se l’azione sarà moralmente lecita, ma se quel principio in base al quale dovrebbe essere giudicata tale azione sia valido dal punto di vista etico (Cfr. G. FORNERO, o. c., p. 18). Non è semplice riuscire a formulare un principio, in determinate situazioni, che possa essere considerato il più valido e sul quale poter poi basare un’azione e le sue conseguenze. Ci troviamo nelle situazioni “limiti” in cui diventa molto difficile riuscire a stabilire fino a quando è bene e dove incomincia il male in un’azione, situazioni limiti che purtroppo accadono e che comunque devono essere affrontate e per le quali è necessaria una profonda riflessione ma anche una oggettiva presa di coscienza della situazione da dover affrontare e, molto spesso, in tali situazioni, i tempi che si hanno a disposizioni per formulare la decisione sono brevi e quindi non permettono un più o meno lungo o sufficiente periodo per poter riflettere, confrontarsi e poi decidere.
Fornero riporta anche come esempio emblematico un caso particolare, quello di Anthony Bland che, in occasione della semifinale della Coppa di Inghilterra, viene schiacciato dalla folla e di conseguenza a ciò riporta gravi lesioni. Dalla descrizione clinica emerge che solo il tronco cerebrale è funzionante mentre la corteccia è completamente distrutta. Questo caso così particolare e toccante ha avuto il potere di scuotere non solo l’opinione pubblica ma addirittura su di esso si è pronunciata la Camera dei Lord (Cfr. Ibidem, pp. 18-19).
Tutta la bioetica, in effetti, sembrerebbe più concentrata sull’inizio della vita che sulla fine, come afferma Semplici, anche se poi negli ultimi tempi gli interrogativi sul fine vita stanno divenendo sempre più forti e pressanti. Ci troviamo a dover affrontare i due estremi del bios degli esseri umani. Il modo in cui la persona viene trattata proprio a questi due estremi, l’inizio e la fine della vita, diventa uno degli indicatori fondamentali del valore che una società riconosce all’individuo. Lo stesso divieto di somministrare dei farmaci che potrebbero essere letali come quello di non far prendere ad una donna incinta dei farmaci che potrebbero farla abortire, sono alla base dello stesso giuramento di Ippocrate. Questo sta a dimostrare che non sono solo questi nostri tempi a porre determinati problemi ma sono sempre esistiti, solo che oggi con la biotecnica si sono trasformate radicalmente tutte le questioni che rientrano in questo ambito. Importante è non assolutizzare le diverse posizioni. La qualità della vita e la sua sacralità entrambe fanno parte dei doveri di cui si occupa l’etica medica. L’uomo, fino a qualche decennio fa, non era in grado di poter “produrre” una nuova vita umana in un laboratorio. Il cercare di avere un figlio era tutto quanto una coppia potesse fare; ma ora l’impotenza di non riuscire ad avere una gravidanza è stata superata con l’aiuto della tecnica. Ma la stessa tecnica è riuscita solo per quanto riguarda l’inizio ma non è in grado di dare all’uomo la possibilità di non morire (Cfr. S. SEMPLICI, o. c., pp. 70-71).
In ogni caso, sia per quanto riguarda l’inizio della vita umana che il suo termine, il centro di tutta la discussione è sempre lo stesso: la persona umana. È come un unico filo conduttore sul quale si muove la vita dell’uomo. Abbiamo un inizio, che la tecnica moderna permette anche in quei casi in cui prima non era possibile. A prescindere dalle modalità del concepimento colui che viene concepito è sempre vita umana, indipendentemente se quel suo attimo iniziale sia avvenuto nel grembo materno o ina un laboratorio. E ‘ vita umana e come tale deve essere considerata. L’altra parte di questo “filo” sul quale cammina la vita umana è il suo termine. La medicina, la ricerca scientifica, le nuove tecnologie, hanno contribuito notevolmente ad allungare questo filo ma non a renderlo infinito. La qualità della vita è sicuramente migliorata, e di fronte a molte malattie che prima non si potevano affrontare con delle cure idonee, ora invece si arriva anche alla guarigione. Ma tutto ciò non ha impedito che quel “filo” ad un certo punto si interrompa e sopraggiunga la fine della vita umana. Importante è che quel termine arrivi in modo naturale senza che sia l’uomo a decidere quando reciderlo.
A seconda di come si consideri la vita dell’uomo, di quando la si consideri tale, la si consideri realmente vita e di quali diritti le si riconoscano, si affrontano le varie tematiche e in effetti si hanno le “diverse bioetiche”. E’ la vita dell’uomo, la sua stessa dignità ad essere al centro di tutto. La bioetica o le bioetiche scaturiscono dai diversi approcci ad essa, dai diversi modi di volerla considerare nella sua interezza o se la si vuole considerare solo in un momento specifico del suo sviluppo.
(articolo pubblicato anche su www.culturacattolica.it l’11/12/2016)