A distanza di poco tempo da quando abbiamo potuto ricominciare ad uscire di casa, seppure con le dovute precauzioni dovute al coronavirus che non era completamente sparito, ci stiamo ritrovando in una situazione molto simile a quella di marzo/aprile di quest’anno.
Ciò che segue sono delle mie riflessioni fatte alla fine dell’estate e che, rileggendole, sono valide pure adesso.
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Non è passato molto tempo dal periodo in cui siamo stati costretti a restare tutti a casa per la pandemia da coronavirus. Ma come è stato vissuto questo periodo tanto particolare? Cosa ne è rimasto e come ci ha lasciati dentro? Ed echeggia sempre dentro di noi un’altra domanda: ci sarà di nuovo una totale chiusura?
Non è possibile rispondere a queste e ad altre domande su questo periodo e neppure sul futuro che ci attende, almeno non è possibile dare una risposta univoca o una risposta che vada bene per tutti. Ciascuno ha vissuto in modo diverso questa clausura forzata e, soprattutto, per ogni persona ha avuto significati differenti.
La domanda invece che dovrebbe riguardare tutti è su quale centralità abbia avuta la persona umana durante la pandemia.
Eh si! Il fulcro di tutto è sempre lo stesso: la persona umana e la sua dignità!
In che modo è stato tutelato tutto questo?
Per prima cosa l’emergenza ha focalizzato tutte le attenzioni nell’ambito sanitario. La pandemia si è portata via molte vite umane e gli ospedali hanno dovuto affrontare una gestione impensabile prima per l’enorme richiesta di ricoveri. A livello medico sanitario è stato fatto tutto il possibile in una emergenza senza eguali. Ho avuto modo di conoscere, indirettamente, qualche esperienza di chi era in “prima linea” negli ospedali e sono sicura che la vita umana sia veramente stata al centro di tutto, ma non solo quella fisica.
I rapporti umani tranciati al momento del ricovero ospedaliero, rapporti interrotti anche per via telefonica quando un malato era portato in rianimazione, rapporti distrutti quando si aveva la comunicazione della morte di un proprio caro o di un amico.
Rapporti familiari ai quali in qualche modo il personale sanitario ha cercato di supplire per non far sentire solo l’ammalato.
Le strade erano vuote, deserte con un silenzio surreale in pieno giorno. Il sole sembrava illuminare il deserto e non le città.
La persona umana, fulcro ed apice di tutto il Creato, ha vissuto la sua particolarità chiusa in casa. Nel migliore dei casi insieme ad altri familiari, ma in altri casi nella più completa solitudine. La morte, la malattia, che spesso si pensa come qualcosa di lontano da noi e che non ci appartenga o ci riguardi aveva fatto irruzione in modo molto determinante nella vita di ciascuno. Morte e malattia esistono da sempre, da quando esiste la vita, ma mai come durante la “chiusura in casa” si è probabilmente avuto il modo di rifletterci sopra così profondamente.
Lo sguardo alla vita ed alla sua dignità è cambiato. Si è rafforzato e si è riempito di nuovi significati che hanno messo in risalto ancora di più come da soli non possiamo andare avanti, abbiamo bisogno gli uni degli altri, anche quando fisicamente non è possibile. Tutto ciò che è avvenuto in questa fase particolare della nostra storia ha evidenziato la necessità della preghiera, in famiglia ma anche con gli altri attraverso internet, la televisione, whatsapp, ecc…. La creatura prediletta da Dio ha rafforzato il suo legame con Colui che è il datore della vita stessa. La creatura umana forse ha compreso di più che ha bisogno del suo Creatore per poter vivere pienamente e rapportarsi agli altri suoi simili.
Adele Caramico Stenta