L’articolo che segue è stato scritto molti anni fa. Lo ripropongo oggi in quanto, nonostante sia passato il tempo, molti giovani, soprattutto, non sanno bene cosa sia una FIVET.
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Ormai, sempre con maggiore frequenza, sentiamo parlare, dai mezzi di comunicazione sociale, e non solo da essi, di fecondazione artificiale. E’ importante, prima di darne un parere o di farne delle considerazioni, conoscere cosa sia realmente e come avvenga.
Parlare di FIVET oggi significa parlare di un argomento di grande attualità.
I mass – media sono pieni di notizie riguardanti la fecondazione artificiale, soprattutto dopo l’approvazione della Legge che la riguarda. Vengono esaltate le nuove metodiche adottate senza però dire molto sullo spreco di vite umane, e sul loro “uso” in laboratorio, perché solo una possa arrivare alla nascita.
La FIVET è la fecondazione artificiale umana in vitro; la sigla si ha dalle iniziali Fecondazione in Vitro con embryo transfer. Essa è una tecnica di fecondazione artificiale molto più complessa rispetto all’inseminazione artificiale.
Nella donna viene provocata una crescita follicolare multipla ed in seguito, tramite laparoscopia, vengono prelevati degli ovociti maturi. Gli ovuli vengono quindi trasferiti in un terreno di coltura particolare. Sempre qui viene messo anche il liquido seminale, preparato precedentemente con un procedimento particolare, ed avviene così il concepimento di un essere umano al di fuori sia del corpo materno che dell’atto sessuale: è la fecondazione in vitro!
La crescita dell’embrione, così ottenuto, viene controllata e seguita con il microscopio e, quando ha raggiunto lo stadio di 4-6 cellule, può essere trasferito in utero per continuare il suo sviluppo.
L’ embryo – transfer è il momento più delicato della fecondazione artificiale in quanto è quello in cui si hanno le maggiori possibilità di perdita dell’embrione.
Le statistiche dicono che solo il 15-20 % degli embrioni ottenuti in vitro riuscirà ad arrivare al termine della gravidanza. Proprio perché c’è questa percentuale così bassa di successo si ricorre alla pluriovulazione, fecondando più ovuli e trasferendone altrettanti in utero, in modo da far aumentare le possibilità che almeno un embrione riesca a svilupparsi completamente.
Nella maggior parte dei casi, purtroppo, il numero di embrioni così ottenuti supera di gran lunga quelli che poi vengono effettivamente trasferiti nel grembo materno.
Si ha un surplus di embrioni che pone il problema etico sul loro destino. Due, di solito, sono le possibili sorti di questi embrioni soprannumerari: congelamento, in attesa di un eventuale impianto, oppure eliminazione.
La metodica della FIVET ha due varianti costituite dallo ZIFT, Zigote Intra Fallopian Transfer, in cui l’embryo – transfer avviene dopo 24 ore; e dal TET, Tubal Embryo Transfer, in cui il trasferimento avviene invece dopo 48 ore.
Quando la FIVET viene effettuata utilizzando i gameti di una coppia di coniugi, si chiama omologa, mentre quando uno dei gameti utilizzati, o a volte pure entrambi, sono esterni alla coppia, abbiamo la FIVET eterologa.
Una conseguenza propria della FIVET eterologa è la maternità sostitutiva, chiamata anche surrogate mother o surrogacy.
Di solito, quando si parla di maternità, si dà per scontato che la madre sia quella che porta a termine la gestazione e mette al mondo il figlio. Ma non si verifica sempre così.
Esistono tre varianti di questa metodica.
La prima si ha quando una donna offre volontariamente, oppure “affitta”, dietro retribuzione, il proprio utero, per permettervi l’impianto di un embrione di altri. Questa situazione viene definita “gravidanza surrogata” o più comunemente “balia d’utero”. Il bambino che nascerà si troverà ad avere il patrimonio genetico di due persone, delle quali nessuna sarà la madre che lo ha portato in grembo: avrà ricevuto sangue, nutrimento, e tutti quei rapporti madre-feto, che sono importantissimi anche per la stessa vita psichica del bambino, da un’altra donna.
La seconda variante, chiamata anche “gravidanza eterologa”, si ha quando, in una coppia in cui la donna è sterile, viene fecondato un ovulo donato, utilizzando il seme del partner. Successivamente l’embrione, così ottenuto, viene impiantato nell’utero della donna sterile, dove può continuare il normale sviluppo fino alla nascita.
Un caso particolare, che ha suscitato e continua a suscitare scalpore, è il fatto che, in tale modo, è possibile impiantare un embrione anche nell’utero di una donna ormai in menopausa.
La terza ed ultima variante viene definita “gravidanza su commissione” e consiste nella fecondazione di una donna con il seme del partner di un’altra, che le commissiona praticamente il figlio. Il bambino che nascerà verrà “dato” alla donna che lo ha commissionato, che sarà poi considerata sua “madre”, anche se nella realtà questo figlio della “madre” non ha nulla, in quanto non è stata lei a partorirlo e neppure a “fornire” il patrimonio genetico.
Adele Caramico Stenta