I nostri sono tempi particolari in cui vediamo intorno a noi le contraddizioni più forti ed assurde, soprattutto per quanto riguarda la vita dell’uomo. Il nostro è diventato il tempo delle contraddizioni: da un lato ci troviamo di fronte al voler cercare un figlio a tutti i costi, dall’altro il non voler un figlio e quindi il ricorso all’aborto. Nello stesso tempo ormai l’uomo ha messo le mani pure sulla stessa vita umana, pensando di poter decidere quando far nascere o morire il proprio simile.
Un mondo del genere sta portando innanzitutto alla distruzione di ogni valore legato alla persona umana e poi anche al considerare quest’ultima non nel modo più giusto bensì in quello più “comodo”.
Se prendiamo qualsiasi vocabolario della lingua italiana possiamo vedere il significato che viene dato al termine “bioetica”, un significato che dovrebbe essere univoco per tutti. Il termine è formato da due parole greche: bios, che significa vita, ed ethos che significa morale. Il primo a coniarlo è stato Van Rensselaer Potter che, nel 1970, lo ha utilizzato in due articoli e successivamente in un’opera del 1971. Il suo intento era quello di voler coniugare insieme le scienze della vita e l’etica della vita stessa (Cfr. G. FORNERO, Bioetica cattolica e bioetica laica, ed. Bruno Mondadori, Milano 2009, pp. 1-2). Lo scopo che Potter avrebbe voluto raggiungere era di fare un ponte fra i due ambiti in modo si potesse garantire sia la sopravvivenza che il benessere dell’uomo. Tale necessità emergeva dal fatto che sia la rivoluzione tecnica che quella scientifica erano diventate come una “malattia” per la stessa natura.
A Potter va quindi il merito di aver iniziato l’epoca della bioetica anche se poi non tutti l’hanno intesa come lui. Infatti, mentre Potter col termine “bioetica” intendeva una scienza nuova ma nell’ambito della biologia, per altri studiosi essa è una sezione più specifica dell’ambito dell’etica applicata che si occupa di questioni che scaturiscono dalla ricerca biomedica e dalla cura della salute. In ambito europeo la bioetica è stata accolta meglio in quei paesi in cui c’era una maggiore diffusione della filosofia analitica. A seconda dei contesti in cui tale termine è stato introdotto ci sono stati dei risvolti diversi. Per esempio in Francia ed in Germania ha trovato notevoli resistenze, mentre in Italia è stato “accolto” bene sia nell’ambito cattolico che in quello laico (Cfr. Ibidem, p. 3).
Il quadro che attualmente abbiamo davanti per quanto riguarda la bioetica, o potremmo dire, le diverse bioetiche, è molto vario, anzi potremmo affermare che ci sarebbero tante bioetiche quante sono le forme di pensiero.
Ma ci sono due momenti della vita dell’uomo, l’inizio e la fine, che paradossalmente determinano il cammino della bioetica che, in ogni caso, a prescindere se sia laica o cattolica, resta sempre e comunque legata alla vita dell’uomo e alla sua dignità. In effetti non si dovrebbe fare una distinzione così netta fra i diversi tipi di bioetica, o meglio, non ci dovrebbero essere differenti “bioetiche”, in quanto la bioetica, dato che riguarda la vita dell’uomo, e di ogni uomo, dovrebbe essere sempre la stessa anche se con sfumature diverse. Il guardare alla sacralità della vita ed alla sua qualità dovrebbe avere come conseguenza la ricerca di un traguardo comune, se possibile, ed il coniugare entrambe le cose. L’esperienza pratica in questo ambito denota però che non è sempre così e sono i cosiddetti “casi limite” a far concentrare l’attenzione o sulla sacralità o sulla qualità. Non sempre si riesce, a questo punto, a “salvarle” entrambe. Ci troviamo davanti a due etiche della vita umana. Alcuni studiosi parlano di incompatibilità fra le due parti, per altri invece sono complementari.
Adele Caramico Stenta