Nei nostri giorni, ormai molto spesso, si sente la parola “bioetica” legata a varie situazioni definite “limite” che riguardano la vita dell’uomo.
Ma cosa si vuole intendere col termine “bioetica”?
Il termine nasce ad opera dell’oncologo Van Rensselaer Potter, nel 1970, quando compare per la prima volta il suo articolo “Bioethics. The science of survival”.
L’anno successivo questo stesso articolo diventa il primo capitolo di un suo volume, Bioethics. Bridge to the future.
Ma la bioetica, nel senso proprio del termine, nasce sì negli Stati Uniti, ma non soltanto ad opera di Potter, che appunto le assegnò il nome ed un determinato significato. Per lui, con questo termine, si doveva formare una nuova disciplina che mettesse insieme sia la conoscenza biologica che la conoscenza dei valori umani.
Potter, infatti scriveva, in Bioethics. Bridge to the future, Englewood Cliffs (N. J.) 1971:
“Ho scelto la radice bio per rappresentare la conoscenza biologica, la scienza dei sistemi viventi; e ethics per rappresentare la conoscenza del sistema dei valori umani.”
Il pericolo intravisto, e che poi si è rivelato reale, era quello di una spaccatura tra il sapere scientifico ed il sapere umanistico, tra i valori etici e i fatti che riguardano la biologia. La bioetica, da Potter, viene vista come una scienza “particolare” e “necessaria”, perché da solo l’istinto di sopravvivenza non era più sufficiente, e quindi era indispensabile una scienza nuova che assicurasse proprio questa “sopravvivenza”. Questa scienza, Potter, la vede proprio nella bioetica.
Lo scopo di quest’ultima, doveva essere di fare come da “ponte” tra le conoscenze scientifiche e quelle umanistiche, cercando quindi di tutelare la vita umana e non solo. Il raggio d’azione della bioetica sarebbe dovuto essere l’uomo, ma anche ogni suo intervento sulla vita in generale. Quindi il concetto di bioetica doveva abbracciare un campo molto più ampio, comprensivo pure del mondo in cui l’uomo vive, della natura, dell’atmosfera, ecc…
Ecco perché il concetto di bioetica, sarebbe più ampio rispetto a quello dell’etica medica tradizionale.
In effetti la concezione di bioetica, per Potter, parte da una situazione allarmistica in quanto, in quel periodo storico, c’è un incremento del processo scientifico riguardo all’ingegneria genetica. Tutto ciò fa prospettare la possibilità non soltanto di costruire nuove armi biologiche, ma anche di poter alterare le varie forme di vita, e non soltanto quella dell’uomo.
Nel corso degli anni, la bioetica diventa una disciplina vera e propria che entra a pieno titolo nell’ambito della scienza.
Ma non tutte le “bioetiche” sono uguali. Cominciano a sorgere delle differenziazioni in tale ambito che portano ad arrivare non sempre a dei punti comuni.
In Italia, per esempio, abbiamo il Comitato nazionale di Bioetica, composto da studiosi di varie ideologie, cristiani e non cristiani.
E, sempre in Italia, nasce il Centro di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, dove al centro viene messa la persona umana alla luce della Rivelazione di Cristo, e si basa sulla corrente filosofica del “personalismo”.
La bioetica, basandosi su tali concetti che sono fondamentali per il rispetto della dignità della persona umana, dal momento della sua prima comparsa nel grembo materno, fino al suo termine naturale, ha un compito molto importante nell’ambito della nostra società: difendere l’uomo, la sua dignità ed integrità, ogni volta che una pseudo-scienza ne vuol fare un oggetto, anziché considerarlo per ciò che realmente è: la creatura prediletta del Creatore fatta a sua immagine e somiglianza.
Adele Caramico Stenta
(pubblicato sulla Rivista “Milizia Mariana”, nn.1-2, 2009)