Nella terminologia medica vengono usati vari termini per indicare il neoconcepito. A seconda del periodo gestazionale che si osserva si parla di zigote, di pre-embrione, di embrione o di feto. Ma, in effetti, non ha alcuna importanza come venga chiamato il frutto del concepimento umano: esso comunque è una persona alla quale si deve il rispetto ed alla quale si deve riconoscere la stessa dignità del bambino appena nato.
Ogni essere umano, fin dal primo istante del suo concepimento, fin dal momento in cui la cellula germinale femminile si unisce con quella maschile, dando così origine ad una nuova vita, ha il diritto di essere rispettato come persona e gli devono essere riconosciuti quei diritti propri della persona umana stessa, ed il primo fra questi è il diritto alla vita [cfr. Donum Vitae, I, 1 (si indicherà con DoV, tale documento)].
“L’essere umano è da rispettare – come una persona – fin dal primo istante della sua esistenza” [DoV, I, 1]: non importa quindi a quale stadio della sua crescita si trovi il neoconcepito. Egli è vita umana e ciò basta perché le si riconosca la stessa dignità della persona già nata. Dall’istante in cui avviene la fusione tra l’ovulo e lo spermatozoo inizia una nuova vita, che è diversa sia dal padre che dalla madre. La stessa scienza ha messo in risalto che fin da tale momento si costituisce un nuovo individuo umano che ha una sua propria identità biologica [cfr. DoV, I, 1; cfr. anche Dichiarazione sull’aborto procurato, 12-13].
Nello sviluppo embrionale non possono esserci salti di qualità, che possono farlo passare dall’essere “cosa” all’essere persona. “Il corpo umano può maturare come tale in quanto lo è già” [R. LUCAS LUCAS, Antropologia e problemi etici, Cinisello Balsamo (MI) 2001, p. 83]. Sappiamo come ci siano studiosi che non considerino l’embrione umano “persona” dal momento del concepimento. Ma bisogna tener presente che, nello sviluppo dell’embrione, la vita biologica non può dissociarsi da quella prettamente umana [cfr. R. LUCAS LUCAS, o. c., p. 83].
In effetti, l’inizio dello sviluppo dell’embrione non può considerarsi di carattere puramente biologico, non può prima iniziare lo sviluppo delle cellule biologiche e poi, in un secondo momento, quelle stesse cellule diventare cellule umane!
“L’embrione appartenente alla specie biologica umana, che non fosse fin dall’inizio vero individuo umano, non potrebbe diventarlo successivamente senza contraddire la propria identità di essenza” [R. LUCAS LUCAS, o. c., p. 84].
L’essere umano è tale fin dal momento del concepimento e non può essere considerato diversamente, altrimenti si dovrebbe arrivare all’affermare l’assurdo e cioè che potrebbe diventare umano, con tutte le relative caratteristiche, “qualcosa” che invece è iniziata come non – umana.
L’embrione umano è individuo ed è unico. L’unicità è una caratteristica della persona umana che va applicata al neoconcepito.
“Gli individui appartenenti a una medesima natura sono tali per le caratteristiche generali di quella natura da essi partecipata; in questo senso ogni uomo è un individuo perché appartiene alla natura umana” [R. LUCAS LUCAS, o. c., p. 95].
Pure se l’embrione umano non è in grado di espletare tutte quelle funzioni tipicamente umane, non si può però non riconoscere che, dal momento del concepimento, si costituisce la capacità reale di poter attivare tutte quelle attività superiori per l’uomo. Non è necessario neppure attendere la cosiddetta stria primitiva, e neppure che il primo nucleo del sistema nervoso abbia la sua struttura, perché il frutto del concepimento possiede già la capacità necessaria sia per realizzare il cervello che la sua funzione [cfr. E. SGRECCIA, Manuale di Bioetica, vol. I, Milano 2000, p. 118].
“Questa reale capacità si radica nell’essenza stessa dell’individualità umana da cui la corporeità è informata e strutturata dallo spirito che la vivifica” [E. SGRECCIA, o. c., p. 118].
Non si può, quindi, fare una distinzione, a livello ontologico, tra individuo umano e persona umana, qualsiasi sia la fase di sviluppo in cui si trovi dal momento in cui è avvenuto il concepimento e qualsiasi sia lo stadio di maturazione intellettuale raggiunto [cfr. E. SGRECCIA, o. c., p. 118].
La persona umana ha il diritto di essere rispettata fin dal momento del suo concepimento in quanto essa, in se stessa, ha una valore superiore e trascendente, rispetto agli altri esseri viventi. Ed un tale dovere riguarda ogni singola persona, indipendentemente da quali possano essere le differenze di sesso, di situazione psicologica, sociale, ecc…, perché in ogni uomo abbiamo la realizzazione dell’umanità con tutta la dignità che le spetta.
Applicare questo al frutto del concepimento umano significa permettergli di svilupparsi per quello che è: una persona. La stessa dignità che l’uomo rivendica per se stesso, deve essere riconosciuta anche all’embrione, qualsiasi sia il momento del suo stadio di sviluppo, perché è e resta sempre persona alla quale deve essere lasciata la libertà e possibilità di svilupparsi e crescere come tale. E non c’è diritto più grande dell’uomo se non quello alla vita, all’esistere, all’integrità fisica, alla salute.
Il neoconcepito, l’atteso è il più indifeso degli esseri umani, che non ha ancora la forza di ribellarsi contro chi non vorrebbe farlo vivere.
Nel Vangelo troviamo che Gesù, quando gli viene chiesto chi fosse il più grande nel Regno dei Cieli, chiama un bambino e lo pone in mezzo [cfr. Mt 18, 1-2] dicendo:
“Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel Regno dei Cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” [Mt 18, 4-5]. Riferendoci a questi versetti potremmo chiederci: chi è più piccolo del bambino appena concepito? E, con tale domanda, riflettere su quale valore immenso ha la vita di ogni uomo, fin dal suo primo istante nel grembo materno.
Adele Caramico Stenta